Da sempre i titoli nobiliari esercitano un grande fascino sull’immaginario collettivo. Un tempo essere un esponente della nobiltà voleva dire appartenere ad una classe sociale che godeva di particolari privilegi, ricchezze, istruzione ed educazione. Il titolo nobiliare lo si otteneva per nascita o per volere regio. Era così forte il desiderio di poter appartenere a questa stretta cerchia elitaria che qualcuno si avvalse di titoli falsificati pur di farne parte.
Mario Comincini ha voluto raccontare in un libro il processo a Giacomo Antonio Galluzzi che portò poi alla sua condanna a morte. Costui falsificò, su commissione, svariati atti per certificare la discendenza nobiliare di alcuni personaggi. Invecchiò pergamene, utilizzò speciali inchiostri e molti altri stratagemmi per far sembrare veri documenti creati ad hoc. Naturalmente potè agire grazie alla connivenza di notai e avvocati, funzionari pubblici, militari, nobili, giudici e alcune supreme cariche dello Stato.
Una parte di questa documentazione è arrivata fino a noi grazie alla cura e alla passione dalle Madri Canossiane dell’Istituto che l’hanno conservata nell’archivio dei nobili Pusterla di Tradate.
E’ stata organizzata un’interessantissima disquisizione su questo testo nella splendida cornice del Castello di Jerago grazie all’ospitalità dei padroni di casa Mariantonietta e Camillo Faveri Fontana. Presenti l’autore, Mario Comincini, Marco Brivio e Giovanni Necchi della Silva. A seguire un piacevole rinfresco.